LE DIMENSIONI SPAZIO-TEMPORALI DI LUCA
Antonella Renzitti

Fotografo del sogno,1 architetto visionario, alfiere del cinema dipinto,2 visionario impertinente,3 fin dal suo esordio,4 Luca Pignatelli è stato definito un artista che sa travalicare i confini linguistici con una libertà poetica fuori dal comune. Maestro, in particolare, nel lasciasi catturare dalle suggestioni provenienti dalle fotografie anonime, indirizza sempre più la sua ricerca artistica sull’elaborazione di immagini preesistenti, che colleziona in modo quasi scientifico nella sua bellissima “biblioteca iconografica”. “Archivio fotografico” sembrerebbe il termine più appropriato per una raccolta di immagini, ma in realtà quella di Pignatelli è una vera e propria biblioteca i cui volumi sono disposti secondo un criterio legato ad associazioni tematiche e iconografiche tutte dell’artista, su alti scaffali alle pareti del suo suggestivo studiolo, ricavato nell’immenso laboratorio-studio-officina, a Milano. Inserite fra questi volumi, trovano posto altre immagini in bianco e nero che il “cleptomane” Pignatelli continua a cercare durante i suoi viaggi e a raccogliere e incasellare in questo suo inventario. Il rimando al Bilderatlas Mnemosyne del grande Aby Warburg (1866-1929), è quasi d’obbligo ma vorrei sottolineare, in questa sede, oltre al valore della memoria attribuito all’immagine, soprattutto il desiderio di collezionare le icone della civiltà/inciviltà occidentale, come principio base del suo operare. Memoria visiva quindi, evocata e trasmessa dal potere delle immagini, raccolte e selezionate per la loro forte suggestione emotiva, oppure per le insolite similitudini formali, colte con acume dall’artista, per narrare storie sospese tra la realtà e la visione.
Pignatelli non è mai stato fotografo, ma lavora costantemente con e sulla fotografia. Locandine cinematografiche, foto pubblicitarie, riproduzioni di opere d’arte antica: dopo una lunga e accurata selezione si “appropria” di immagini, indipendentemente dalla tecnica, dal formato, dal supporto, le elabora per stemperare gli elementi temporali troppo evidenti e le elegge a foto che “avrebbe voluto scattare”.
LA DIMENSIONE DEL PASSATO Predilige riproduzioni di paesaggi montani, delle metropoli e delle loro periferie ma è particolarmente attratto da paesaggi con resti archeologici, architetture rinascimentali, sculture classiche o opere d’arte moderna. Potremmo considerarle delle vere e proprie citazioni che, senza nostalgia, dimostrano la sua “coscienza storica del passato e del suo inevitabile rapporto col presente”5 e il desiderio di un “recupero concettuale [...] di un mondo [...] carico di insegnamenti per il presente”;6 “un’arte fatta di frammenti e memorie, di gesti e significati, intesi come veri e propri appunti di un viaggio immaginario”,7 “rivelazione della transitorietà implicita nella vita”,8 per usare parole di storici dell’arte che hanno analizzato la persistenza del passato nelle forme artistiche successive. Questo tema sollecita costantemente spunti di ricerca anche attraverso nuovi media. Maurizio Calvesi, per esempio, sosteneva che Carlo Maria Mariani 9 “assumeva [...] una pittura e una teoria estetica già ‘belle e pronte’, andando a cercare nella storia dell’arte e del pensiero umano [...] il proprio ready-made: «Non dipingo la realtà, ma il già ‘dipinto’»”.10 Nel caso di Pignatelli dobbiamo parlare del “già fotografato”: «scelgo una immagine come se esistesse a prescindere dal suo autore, come se scegliessi un ramo di un albero o un fiore, come se esistesse già in natura come materia prima, in un mondo fatto di immagini». E come lui, per esempio, l’artista olandese Rob Johannesma, la cui ricerca è a volte presentata attraverso lenti e proiezioni video. Entrambi hanno come fine l’analisi dei codici iconografici acquisiti dall’immaginario occidentale11 e, di fondo, la consapevolezza della perdita di fedeltà storica attribuita al mezzo fotografico, incapace anche di garantire l’imparzialità della visione. Ma Pignatelli nella comparazione delle immagini storico-artistiche con quelle dell’universo mediatico, utilizza il bianco e il nero e interviene con una pittura di colori “arrugginiti”, fumosi, ottenuti da materiali trovati dal ferramenta, o nelle officine, piuttosto che dal fornitore per le belle arti. Questo pone le sue scelte iconografiche in una dimensione quasi atemporale che non gli impedisce però di essere determinato nel denunciare gli orrori delle guerre di ogni tempo.
LA TERZA DIMENSIONE Con le sue storie sospese tra il racconto autobiografico e il sogno, tra realtà e incubo, già alla fine degli anni Ottanta, si era inserito nella ricerca artistica, in atto a Milano, quasi in antitesi a quella della Transavanguardia di ambiente romano. Ma in comune con gli esponenti di questo movimento, aveva il desiderio di superare “la smaterializzazione dell’opera e l’impersonalità esecutiva del concettuale a favore del ritorno alla manualità della pittura”.12 Il recupero della figurazione, per altro mai scomparsa completamente, per Pignatelli scaturiva dal bi- sogno di superare l’essenzialità dei materiali tipici dell’Arte povera, dei quali non sottovaluta però il valore sim- bolico,13 tanto che li inserisce – fili di lana, briglie, ferri, carte e altro ancora – sulle superfici dipinte, nell’intento di rafforzare la tridimensionalità della rappresentazione fotografica.
La stessa superficie, sulla quale prima stampa la riproduzione fotografica e poi interviene con la pittura, è “una superficie vissuta, contaminata, profondamente segnata dalla propria storia. [...] La fisicità del supporto, la sua età, la sua memoria rappresentano il magico territorio che Luca Pignatelli attraversa con la sua pittura”.14 Pittura fatta di materie, oggetti e inserimenti inconsueti che elegantemente sfidano le capacità percettive. Le sue articolate sedimentazioni e sovrapposizioni sul piano visivo illudono ma su quello emotivo coinvolgono.
LA DIMENSIONE “REALE” DI PIRANESI E LA GRAFICA L’“architetto” Pignatelli rivisita i particolari punti prospettici dell’architetto Piranesi (1720-1778), condividendo un “viscerale attaccamento alla Storia”.15 Dalle vedute di Villa Albani sulla Salaria, di Piazza Monte Cavallo al Quirinale o della Colonna Traiana tra le due chiese rinascimentali,16 l’artista milanese rielabora interessanti spunti iconografici dell’artista veneziano, fotografo ante litteram, che solo apparentemente ritraeva all’acquaforte la realtà oggettiva. I monumenti rappresentati da Piranesi infatti non risultano localizzati esattamente nel loro contesto urbano e spesso sono tagliati verticalmente per ingigantirne le proporzioni. Le vedute dell’ultimo Piranesi dimostrano il tormento intellettuale dell’artista che, abbandonato ogni intento di rappresentazione oggettiva, evidenziava l’inesorabile disfacimento al quale erano destinate anche le venerabili architetture del passato.17 Così la veduta del Colonnato di Piazza San Pietro, o quella di Piazza Navona con una folla di umanità indistinta in primo piano, colta nella quotidianità dall’arrivo di velivoli da guerra, comunicano un più accentuato e drammatico disorientamento. La Roma del “mago e profeta del passato”,18 precoce interprete dello spirito romantico, appartiene ormai al patrimonio iconografico collettivo ed è riproposta da Pignatelli con una forte accentuazione espressionistica, in grandi formati, come se fossero degli antichi dagherrotipi. Le suggestive inquadrature risultano maggiormente corrose dal tempo perché i pannelli di masonite, sui quali sono state stampate, hanno assorbito le intemperie e la salsedine alle quali sono stati esposti per anni. Le vedute piranesiane, ora più verticali per accogliere velivoli di epoche passate, si sono arricchite di “impressioni” cromatiche e di lacerazioni della storia dei loro supporti, che ne hanno alterato le coordinate della visione, dilatando la dimensione temporale rappresentata. Pignatelli è stato sempre attratto dall’alfabeto incisorio che, notoriamente, si basa soprattutto sulle valenze del bianco e del nero, a lui molto congeniali. Sfrutta infatti il contrasto tra luce ed ombra, agendo su quegli aspetti della visione che, più del colore, stimolano l’occhio umano. Si è cimentato anche con la lastra incisa e, in particolare, con la tecnica allo zucchero, molto pittorica e veloce,19 nella stamperia d’arte di Corrado Albicocco di Udine.20 Luca ha raccontato, per contrasti di segni ed immagini, storie surreali stampate su fogli di antiche riviste o codici latini21 oppure ha interpretato le poesie di Alda Merini22 nella raccolta Senza titolo del 2002 entrando in relazione anche con gli elementi grafici della scrittura.
LA QUARTA DIMENSIONE / SEQUENZE E CORROSIONI Pignatelli aggiunge un’altra dimensione. Quella del “non-tempo”. Vi allude con gamme cromatiche particolari, crepuscolari, alla Sironi degli anni ’20. Soprattutto nei primi lavori ripropone vedute della periferia urbana cogliendone la monumentalità e insieme la tragicità di alcuni dettagli o scorci.23 Come Mario Sironi, riscopre la forza plastica e l’essenzialità della tradizione italiana e il forte impatto della pittura murale, tradotte nella costante ricerca di elaborare gruppi scultorei dell’antichità classica, proposti in imponenti riproduzioni. Ma il debito maggiore che lo stesso Pignatelli riconosce al maestro Sironi è l’uso di materiali extrapittorici, introdotti per la prima volta sulla tela, per una pittura lontana dall’ortodossia accademica.24 Ricorrente in Pignatelli è la presentazione di opere di piccolo formato, composte in successione su una parete.25 L’accostamento strutturato di immagini, quasi un’architettura di immagini, (alla cui base troviamo la stessa dinamica concettuale delle Analogie), è espresso in modo molto significativo in Atlantis, una suggestiva riflessione sull’iconografia occidentale, condotta attraverso 643 carte intelate, esposta per la prima volta al MAMAC di Nizza nel 2009.26 Questo gioco di sequenze è stato adottato anche nella mostra al MANN di Napoli nel 2007 per presentare riproduzioni di vasi archeologici la cui pittura vascolare è stata sostituita da irregolari “proiezioni”, come se le “pance” dei vasi fossero degli Schermi.27 Tali sequenze possono essere considerate un preludio alla ricerca su pellicola del filmmaker Daniele Pignatelli,28 fratello dell’artista, che con HOPE2 sceglie, per la terza volta, di girare un cortometraggio con le opere di Luca come elementi scenici, rendendo quindi esplicita l’aspirazione ostacolata dalla bidimensionalità della pittura: la narrazione per immagini, la successione temporale, in sintesi, la quarta dimensione. Nei corti di Daniele, così come nei quadri di Luca, non ci sono protagonisti umani ma compaiono, quasi all’improvviso, presenze animali, tra la favola e il sogno, per completare l’intento di straniamento metafisico.29 “Una delle dimensioni più suggestive di queste opere è proprio il loro silenzio, la loro sorvegliatezza espressiva. Niente è detto sopra le righe, perché niente è detto, piuttosto è alluso e sottinteso”.30

Beatrice, Fokidis,Fusco, Renzitti, Veca, Icons Unplugged, Istituto Nazionale per la Grafica,Roma,Allemandi Editore,2011
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